Recensione: Gesti indelebili – A.L. Kennedy

Avete presente quella persona che avete amato moltissimo, con cui siete stati brevemente felici e che poi vi ha trattato malissimo, senza motivo?

Avete presente quel momento in cui la guardate, sapete che andrà male, ma nella vostra testa vi ripetete “eppure una volta mi piaceva”? Ecco, per me quella persona sono i racconti.

Anni fa ho letto “I quarantanove racconti” di Hemingway e me ne sono innamorata.
E ho iniziato a comprare altre raccolte, di altri autori.
E non me ne è piaciuta (quasi) nessuna.
Perché non mi piace proprio il racconto come forma narrativa, eppure continuo a comprarne, pur sapendo che li detesterò (psicologi all’ascolto, mi offro come cavia 😅). Tutto questo mega preambolo per dirvi che i 12 racconti contenuti in “Gesti indelebili” di Alison Louise Kennedy, li ho trovati terribili.
E di indelebile c’è solo il titolo perché se mi chiedeste la trama di ogni racconto farei fatica dato che me ne ricordo solo un paio.
Se non riuscivo a finirne uno, quando lo riprendevo la sera dopo dovevo tornare indietro di qualche pagina.

Una lettura noiosa, una scrittura da molti lodata come poetica ma che io ho trovato piuttosto banale e inutilmente volgare.

I protagonisti hanno tutti perso qualcosa, ne vivono la mancanza (quasi sempre il qualcosa è la persona amata) ma la sensazione è che non siano, come l’autrice vuol farci credere, povere vittime di partner crudeli ma carnefici di loro stessi, autori di quella sofferenza dentro cui si crogiolano, della quale si compiacciono mendicando una compassione che non riescono a suscitare.
Dovrebbero essere fragili, disperati.
Sono solo egoisti.
Difficile immedesimarsi, impossibile empatizzare.
Una gran delusione. 

Autore: A.L. Kennedy
Titolo: Gesti Indelebili
Titolo originale: Indelible Acts
Traduzione: Federica Aceto
Prima edizione originale: 2002
Edito in Italia da: Minimum Fax
Pagine: 215

Pubblicità

M. Alberti – L’invitato

“Ci si poteva veramente innamorare in ogni città del mondo? E se la risposta era certa, allora, dove si trovava lei adesso? Era forse seduta al parco a osservare i meravigliosi colori della primavera? Oppure se ne stava nascosta sotto uno di quei tetti, a leggere un libro ignara della mia esistenza?”

M. Alberti – L’invitato

A cavallo tra la fine dello scorso e l’inizio di quest’anno ho avuto il piacere di leggere L’Invitato, scritto da Massimiliano Alberti ed edito da Infinito Edizioni.
Ed è stato davvero un bel modo di iniziare il mio 2020 libresco.

La trama è apparentemente semplice: tre amici triestini, che vivono un’amicizia simbiotica come forse solo gli uomini sanno fare, prendono strade diverse e finiscono per separarsi. Si riuniranno a Vienna, dove uno dei tre ha aperto una galleria dedicata alla Pop Art e li vuole a lavorare al suo fianco. Ovviamente non andrà tutto liscio, anzi … L’Invitato è un romanzo che esplora e descrive bene le dinamiche amicali, che cosa accade quando tre caratteri e tre personalità diverse finiscono per confrontarsi e per scontrarsi.


La caratterizzazione dei personaggi è ottima e le dinamiche e i dialoghi sono sempre interessanti e pieni di spunti di riflessione.
C’è però da dire che non sono riuscita a empatizzare con nessuno dei protagonisti che ho trovato, a modo loro, tutti antipatici.
Ma questo non è necessariamente un male …


È anche un libro introspettivo, uno dei personaggi, Leo, si trova a fare i conti con quel senso di confusione, di insoddisfazione per la quotidianità e sulla possibilità e l’impatto che il trasferimento in una realtà diversa, più grande e cosmopolita possa avere avere sulla sua vita.


Ma la vera forza di questo romanzo è, secondo me, la scrittura.
Una prosa morbida, casta e delicata.
Un lavoro minuzioso sulla scelta dei termini più adatti da adoperare.
E, soprattutto, l’attenzione estrema ai dettagli e ai particolari. Lo stile così descrittivo, quasi teatrale, ti permette di entrare davvero nella storia.

J. Coe – Disaccordi imperfetti

È il primo libro di Coe che leggo e probabilmente anche l’ultimo.

Disaccordi imperfetti è una raccolta di 8 racconti, 5 autonomi e 3 legati tra di loro.

Hanno tutti in comune una certa tristezza mista a malinconia, una forte tendenza al passato.

Ma l’elemento che più li accomuna è la casualità, l’idea di un destino che poteva essere diverso.

Il libro si apre con la nota dell’autore che ci introduce alla cronologia e alle commissioni dei vari racconti.

Il primo, Nona e Tredicesima, è l’unico che mi è piaciuto e che mi aveva fatto ben sperare. È la storia di una fantasia nata dopo un incontro fortuito tra una donna e un pianista di pianobar, un “cosa sarebbe successo se” con un bel parallelismo tra vita e musica, tra le scelte che facciamo e il modo in cui costruiamo o risolviamo gli accordi.

I restanti 7 li ho trovati monotoni e noiosi. Se pure c’era qualche spunto interessante è stato vanificato dal format del racconto.

Autore: Jonathan Coe

Titolo: Disaccordi imperfetti

Titolo Originale: Loggerheads and other stories

Traduttore: Delfina Vezzoli

Editore: Universale economica Feltrinelli

E. Hilsenrath – Jossel Wassermann torna a casa

E il vento, lì fuori, sussurrò qualcosa all’orecchio del rabbino. E il rabbino annuì e disse:<<Sì, hai perfettamente ragione. I gojim sono degli stolti. Ora stanno saccheggiando le nostre case e scavando nei nostri giardini. E credono che abbiamo abbandonato tutti i nostri averi. e se la ridono sotto in baffi. Non sanno che il meglio l’abbiamo portato con noi.>>
<<Che cos’è, il meglio?>> chiese il vento.
E il rabbino disse:<<La nostra storia. Quella l’abbiamo portata con noi.>>
E.Hilsenrath – Jossel Wassermann torna a casa

Jossel Wasserman, nato in una shtetl ebraica in un luogo geograficamente fluido, emigrato in Svizzera, crede di essere in punto di morte e durante la stesura del testamento decide di raccontare la sua storia e quella della shtetl.

Le potenzialità per essere un bel romanzo c’erano tutte.

C’erano.

Jossel Wassermann torna a casa non è un libro bello e non è un libro brutto, è semplicemente uno di quei libri che alla fine non ti lasciano niente.

Lo sviluppo della storia è poco interessante, non ci sono personaggi memorabili, non ci sono dinamiche particolari.

Eppure c’erano delle buone premesse.

La dicotomia tra le piccole storie quotidiane e personali che verranno dimenticate e La Storia che verrà ricordata nei libri è un buon pretesto, davvero. Ma tutto il resto è sviluppato, a mio avviso, male.

C’è una totale assenza di note esplicative che in caso di termini legati alla cultura ebraica trovo sempre molto utili oltre che interessanti.

Ci sono delle piccole incongruenze nel racconto e qualche confusione su alcune date.

C’è, nella prima parte, un’eccessiva insistenza sui problemi di flatulenza di alcuni personaggi della quale mi sfugge totalmente il senso ai fini del racconto (no, se avete più di 4 anni non fa ridere).

Il finale è uno dei più fastidiosamente aperti che ricordi.

E più di tutto c’è un senso di noia che pervade lettore per tutto il libro.

Qualcuno di voi lo ha letto e magari la pensa diversamente?

In Lettura: Jossel Wassermann torna a casa

È  il primo libro che leggo di Hilsenrath, che ammetto di non conoscere.

Ne ho letto circa 80 pagine e sembra interessante, anche se in alcuni punti un po’ lento, ma giudicheremo alla fine 🙂

INCIPIT: “Era nevicato per tutta la notte, ma il mattino presto, quando gli ebrei della shtetl si recarono alla stazione con i loro fagotti e le loro valigie, le nubi si diradarono e sopra la stazione si aprì uno squarcio di cielo azzurro pallido, ma perfettamente limpido. Il buon Dio, lassù, si era aperto uno spioncino tra le nuvole per vedere ancora una volta gli ultimi ebrei, prima che se ne andassero. Forse Dio voleva vedere per l’ultima volta anche la shtetl, perché non sarebbe più stata la stessa.”

R. Charbonnier – La sorella di Mozart

<<In questi anni>> proseguiva lei <<non ho vissuto nel mero silenzio, ma come all’interno di una “pausa”. In musica le pause sono codificate sono codificate nello stesso modo in cui lo sono le note, giacché una sospensione è significante quanto una volata di suoni. Una pausa rende possibile ciò che la precede e ciò che la segue […]

R.Charbonnier – La sorella di Mozart

Nannerl è la sorella maggiore di Mozart ed è una bambina prodigio brava quanto e più di lui. Non appena il padre scopre che la bimba si cimenta nella composizione, attività maschile, la relega in casa a dar lezioni di musica alle bambine per sostenere economicamente i viaggi studio del fratello. Nannerl ha così un totale rifiuto per la musica.

La trama è interessante, è bella la suddivisione del libro non in capitoli ma come se fosse una partitura (Overture, Intermezzo, etc.) ma lo svolgimento è piuttosto insipido.

Non amo i romanzi storici né le biografie romanzate, per cui immaginavo già che questo libro non facesse per me, ma mi sono lasciata ingannare da quel “l’autrice ha compiuto studi musicali”. Studi che emergono qua e là in rari e blandi tecnicismi, ma nel complesso ho avuto l’impressione di aver letto un romanzo rosa.

Scorrevole, di facile lettura e, seppur con qualche leziosità di troppo, non è scritto male ma non è riuscito a coinvolgermi né ad appassionarmi, complici anche dei personaggi odiosi con cui ho trovato davvero impossibile empatizzare.

Ne ho terminato la lettura tre o quattro giorni fa e ne ho già dimenticato una buona parte, fine inclusa. E questo la dice lunga sull’impatto che ha avuto su di me.

Nelle note l’autrice spiega quanto (pochissimo) ci sia di storicamente accurato e quanto (troppo) di romanzato, inventato o distorto ai fini della narrazione, complice anche l’impossibilità di reperire fonti che riguardano la vita quotidiana di specifiche persone “comuni”. Rimane, però, l’impressione di un’eccessiva manipolazione.

Peccato.

F. Dostoevskij – Le notti bianche

E vi rammaricherete che la bellezza di un istante sia appassita così in fretta, in modo così irrevocabile, che sia balenata davanti ai vostri occhi così futile e ingannevole, vi rammaricherete di non aver nemmeno avuto il tempo di innamorarvi di lei …

F.Dostoevskij – Le notti bianche

Durante una delle notti bianche, quando il sole tramonta dopo le 22, in una San Pietroburgo quasi deserta, il giovane protagonista senza nome, durante una lunga passeggiata si imbatte, sul lungofiume, in una giovane fanciulla, Nasten’ka. Per quattro notti, i due si confidano l’un con l’altra, come si può fare solo con gli sconosciuti.

Il Dostoevskij più lirico tratteggia benissimo i due personaggi: Nasten’ka ha, da un lato, l’ingenuità e i tentennamenti tipici della gioventù, ma dall’altro ha la quasi contraddittoria risolutezza e determinazione anch’essa tipica degli adolescenti.

Il protagonista maschile è un sognatore, dotato di fervida immaginazione, un solitario incapace di vivere la realtà da rifugiarsi costantemente nei suoi pensieri, un uomo talmente bisognoso di avere qualcuno accanto da essere disposto ad accettare un amore parziale.

È un romanzo sulla solitudine, sull’illusione e la disillusione, sul sogno contrapposto alla realtà, enfatizzato dalla suddivisione non in capitoli ma in notti.

La collocazione temporale notturna è quasi magica, onirica, perché la notte è il momento del sogno, ma è incredibilmente bianca, luminosa, morbida.

Il mattino, che conclude il romanzo, è duro, crudele, brutale, spazza via il sogno e riporta alla realtà.

Sebbene non sia il mio preferito fra i romanzi di Dostoevskij, mi ha colpita abbastanza e si è lasciato leggere con piacere.

Se però assecondiamo la teoria per cui c’è un momento per ogni libro, bé, un paio di anni fa queste poche pagine mi avrebbero devastata. Rimandate quindi la lettura se avete il cuore infranto.

Un unico appunto mi sento di farlo alla curatrice e traduttrice, Serena Prina, che nella postfazione spiega di aver scelto di relegare tutte le note alla fine per rispettare la fluidità e la musicalità del testo. Io però ho bisogno di leggere le note contestualmente alla lettura del testo, e quindi, dovendo andare sempre a fine libro, la lettura risulta frammentata.

L’edizione Feltrinelli aggiunge anche “La cronaca di Pietroburgo” 5 feuilleton di argomento mondano, dei quali ho però apprezzato solo l’ultimo, sul carattere del sognatore, perfetta conclusione del romanzo appena letto.